A me piacciono i rossetti, assai.

Ne ho in diverse tonalità di fucsia, un paio color mattone, uno persino nero. I miei preferiti sono i rouge, e credo di averne della stessa, identica sfumatura ma di diverse marche.

Detto questo, non sono certa mi stiano benissimo: l’altro giorno ho indossato un lipstick rosso rossissimo per andare a lavoro e un frequentatore saltuario della nostra sede ha pensato di aver improvvisamente scoperto la verità su di me.

Ossia, che sono una trans (spoiler: no).

Il mio look è abbastanza riconoscibile: lunghi capelli ricci, linee pulite, scarpe un po’originali, trucco leggero: il rossetto rosso non fa parte della mia brand identity,  e quando lo indosso risulto meno “me”.

Che cosa intendiamo per Brand Identity? Fondalmente, quello che rende riconoscibile e “identificabile” un marchio: l’uso di determinati colori, il font adoperato, ma anche la scala di valori che tradizionalmente gli attribuiamo.

Un esempio molto chiaro per tutti noi è quello della Coca Cola: ci fa pensare al rosso, ad un carattere corsivo inconfondibile, ad allegre scampagnate in compagnia.

Chiudete gli occhi: sentirete il suono della bevanda che frizza, vedrete ragazzi che ridono, forse vi tornerà in mente questa canzone. Chi ha creato la Brand Identity della Coca Cola, sentite a me, merita i soldi che ha.

Ora pensiamo alla Chicco: sfondo blu, font teneramente agé, un tocco rosso a vivacizzare un effetto altrimenti troppo “marinaro“.

Quando penso a Chicco penso a dei bambini. Tanti bambini, tutti biondi e bellissimi. Biondi, bellissimi e nel pieno delle loro attività di gioco. Non è casuale che molti di noi colleghino la parola “Chicco” al celeberrimo payoff  “Chicco, dove c’è un bambino“.

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Ovviamente, ci sono delle eccezioni. Sì, io e il grafico della Lorenzin abbiamo studiato alla stessa scuola

Non esistono adulti nel mondo Chicco, al massimo qualche mamma che accarezza amorosamente la zazzera di un pupetto attivamente impegnato ad annientare ogni capacità mentale dei suoi conviventi con quei cazzo di giochini sonori. 

Quindi adesso mi spiegate: che cosa è questo?

La Chicco ha deciso di cavalcare la delusione degli italiani che quest’anno non avranno il loro mondiale prendendoli per quello che è loro più caro dopo il calcio: i loro attributi sessuali. Accoppiamenti da tergo, cavallerizze sul tavolo del salotto buono, atti osceni in luogo pubblico in quello che apparebbe un posto deputato a cerimonie: i buoni italiani che non potranno seguire i loro eroi mentre rincorrono un pallone potranno consolarsi con le loro gesta erotiche.  E tutto questo perché?

Perché l’Italia ha bisogno di bambini. 

Fino all’ultimo ho sperato in una svolta satirica, e che tutte queste gravidanze made in 2018 servissero almeno regalarci tra una ventina d’anni calciatori un po’ meno mammolette di quelli che si sono fatti eliminare ancor prima di sbarcare in Russia: e invece no. 

I ragazzi del ’19 serviranno a rendere di nuovo grande l’Italia. 

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Don azionista di maggioranza della Chicco 

Oddio, ma non abbiamo già sentito questa storia?

Quando parlammo del Fertility Day ci ritrovammo ad affrontare il tema della Dissonanza Cognitiva: ossia lo stridente contrasto tra un interlocutore che dovrebbe essere autorevole (in quel caso il Ministero della Salute), uno studio preliminare alla campagna che mia nonna Antonia che teneva la quinta elementare e quattro figli tutti partoriti sotto i vent’anni lo faceva meglio e una morale che Gesù zia, lo so che tengo 35 anni e mi sto a fare vecchia ma NO, FIGLI NON NE VOGLIO?

Allora si trattava di una campagna di comunicazione che decise di puntare i riflettori – in maniera ovviamente catastrofica, non c’è neppure bisogno di dirlo – su una tematica reale e che, in effetti, ha tutte le caratteristiche per essere affrontato a livello istituzionale: il crollo delle nascite.

Insomma: c’abbiamo le pensioni da pagare (risate registrate), i cicli di produzione che rischiano di fermarsi, intere generazioni che non porteranno avanti il loro DNA.

Che un Ministero se ne occupi, ha senso: che lo faccia non il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ma il Ministero della Salute (confondendo clamorosamente un fenomeno sociale come il crollo delle nascite con un tema di interesse sanitario come il calo della fertilità) molto meno, ma ce lo siamo già detti. 

Sapete chi non ha proprio il diritto di dire la propria? Esatto, una ditta che produce prodotti per l’infanzia, per la quale i vostri figli sono, niente di più niente di meno che dei clienti.  Peraltro, per quanto mi risulta, la Chicco non è una Onlus: quei prodotti li vende. È come se a chiedervi di fare figli non fosse vostra zia ricca, quelle che vi dà giusto 10 euro a Natale e poi vi ignora per tutto l’anno, ma che so, il lattaio sotto casa.

Fatta questa osservazione strettamente etica (poi potremmo ricordare tutti, per l’ennesima volta che LA GENTE NON FA FIGLI PERCHè NON CI SONO SOLDI, ma anche questo argomento è stato abbondantemente sviscerato), ritorniamo al punto di partenza: alla Brand Identity.

Quello che normalmente si consiglia ad un’azienda che ha trovato il proprio Tone of Voice è, ne più né meno: se funziona, non cambiarlo.

La Chicco è la leader italiana dei prodotti dell’infanzia: può fare praticamente qualunque cosa, le famiglie la adoreranno comunque. Chicco è infanzia, Chicco è apine svolazzanti e sorrisi innocenti, Chicco gronda zucchero e miele. Chicco è dove c’è un bambino. 

Non so cosa sia successo, ma qualcuno ad un certo punto deve aver strillato fortissimo in agenzia: “Ho trovato! Facciamo qualcosa di ironico!”.

E da qui i Mondiali, gente che piange, lo scientificamente dimostrato Baby Boom che accompagna ogni partecipazione dell’Italia ai Mondiali (io sono nata alla fine del 1983: desumo che i miei genitori si siano accorti della vittoria dell’Italia sei mesi dopo che era avvenuta).

E se non ci sono i Mondiali? Tranquilli, si fa l’amore lo stesso: e l’anno prossimo tutti in un passeggino Chicco.

Ma come” avrà detto qualche stagista “quindi solo le coppie stabili con un progetto di genitorialità possono far sesso? Guardate che facciamo la fine del Fertility Day”

E quindi, il capolavoro: “Che sia per amore o perchè vi va, amatevi”. Certo, purché sia un sesso riproduttivo. Io amo farmi ingravidare nel corso di un incontro sessuale casuale. Credo sia quello lo scopo ultimo del sesso ricreativo.

Ovviamente le coppie omosessuali non possono trovare alternative piccanti ai Mondiali, loro mica possono avere figli (ah già, dimenticavo: i gay non amano il calcio, in televisione i gay guardano solo la Carrà ); le coppie sterili guarderanno, non so, il Badminton.

Come se non bastasse, perché non stravolgere proprio tutto e cambiare anche il payoff?

E così, “Chicco, dove c’è un bambino” è diventato “Chicco, dove ci sarà un bambino”. 

Mi vuoi forse dire che la Chicco ha cominciato a fare abbigliamento da donna, cosicchè da potenziale cliente futura potrò già trovare qualcosa per me? Articoli da elettrauto? Prodotti per la pulizia della casa?

Perché, cara Chicco, su una cosa siamo d’accordo: il nido di un bambino non è fatto solo di giocattoli e abitini. È fatto di sicurezza, è fatto di futuro, è fatto di stabilità: tutte cose che oggi non sempre sono garantite. Ci sarà un bambino laddove ci sarà la possibilità di crescerlo, ma anche la voglia: perché, cara Chicco, non so come tu hai passato i mondiali trascorsi, ma io avevo sempre una birra in mano e del cibo spazzatura da dividere con degli amici. Un test di ovulazione, mai. 

Ciò detto, abbiamo di fronte a noi un’azienda che ha provato a riposizionare la propria immagine sul mercato rinnegando la propria immagine rassicurante a favore di una presunta modernità (ricordiamo tutti: messaggio degno degli degli anni ’20, no gay, no persone sterili. Ok). Ci ha provato senza averne un reale bisogno: vendere prodotti ai genitori di un bambino è, per la Chicco, come segnare un rigore a porta vuota. La Chicco ha fatto come me quando mi metto il rossetto rosso: si è travestita da qualcos’altro. Il che, quando sei il migliore, non è esattamente un’ottima idea. 

 

 

2 pensieri su “Nuovo spot Chicco: un calcio di rigore sbagliato

    1. Ma guarda, se sei la Durex ok (certo magari non pubblicizzeresti la procreazione), ma TU SEI LA CHICCO. Peraltro io credo che il Fertility day almeno avrebbe dovuto diventare un esempio perfetto di come non lavorare, e invece…

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