I peccati della carne sono di gran lunga quelli che preferisco.
In ogni senso: da quelli strettamente connessi ad attività riproduttive adoperate a scopo ricreativo, passando per la gola (che è sì piacere carnale, anzi, provate a smentirmi), ogni peccato capitale che presupponga un’indulgenza al piacere qui è ben accetto.
Ovviamente rientrano tra i piaceri della carne anche quello che provi quando la carne te la metti sotto i denti per finalità alimentari: un peccato che oggi, tra crociate vegane e bistecche sotto accusa per tutti i mali del mondo, si confessa a voce bassa, come una scappatella con la segretaria o con il maestro di tennis
Ma qui, in camera caritatis, lo possiamo dire: la carne è buona. E non solo: è intrinsecamente trasgressiva. Ad ogni boccone, sai che un povero animale è morto per il tuo piacere, che non stai esattamente ingurgitando le calorie di un minestrone, che tutte quelle storie sulla carne rossa non saranno state raccontate per caso: tuttavia la carne resta una di quelle tentazioni un po’ colpevoli dalle quali solo pochi di noi riescono a sfuggire.
Quando ho ricevuto l’invito di Federcarni e YouMeat per il primo #GnaMeat campano, la parte di me temperante, quella che sfugge gli eccessi e mira alla salubrità, ha accolto con una certa diffidenza l’idea di una serata ad alto tasso di calorie animali: l’altra parte di me, il Dionisiaco, già pregustava i vini che avrebbero accompagnato questa nuova esperienza gastronomica.
Nei giorni che hanno preceduto l’iniziativa, sognavo rollè di manzo che saltavano staccionate e conturbanti donne – bovino che occhieggiavano dalle loro stalle. L’idea di una serata a base di sola carne mi stuzzicava, mi sembrava vagamente perversa: TUTTA! LA! CARNE! DA! FUORI! Una sorta di esibizionismo gastronomico, insomma: una serata vegana, probabilmente, non avrebbe sortito lo stesso effetto.

Cosa è successo, quindi, quando il 22 novembre scorso food blogger campani, influencer e beh, me, ci siamo trovati attorno alla stessa tavolata per scoprire le sorprese che Youmeat aveva in serbo per noi?
Questa è la storia di una serata ad alto godimento gastronomico, nonché di una scoperta di qualcosa che, probabilmente, mai avrei immaginato nè saputo raccontare:
La carne non gode un momento di grandissima popolarità.
Anzi: da un eccesso di consumo (che ha danneggiato fortemente il mercato in quanto ha costretto ad una sovrapproduzione, con conseguente calo della qualità), siamo passati ad una vera e propria psicosi che, dalla Mucca Pazza in poi, ha gradualmente ristretto il campo di un alimento che è parte della nostra tradizione ma che, e questa è la chiave di lettura di tutta la faccenda, non può essere consumato come oggi siamo abituati a fare.
La carne va mangiata con moderazione, privilegiando la qualità alla quantità, va preparata con cura e comprata con attenzione da macellai che sanno fare il proprio lavoro.
Come un produttore di carne può raccontare questa versione della storia, a fronte di un’opinione pubblica che ogni giorno racconta
E qui entra in gioco Federcarni, la federazione italiana dei macellai, che da vera insider ha rilevato già da tempo quella che è una vera e propria emergenza produttiva: pochi, pochissimi giovani sono interessati al lavoro del macellaio. Un lavoro faticoso che richiede competenze tecniche specifiche, una conoscenza eccellente dei diversi tagli, la consapevolezza di tutti i passaggi che rendono speciale anche una semplice bistecca alla piastra.
Il mio, il nostro immaginario relativo alla carne è assuefatto alla vista delle sconfinate distese di fettine incellofanate che invadono i banchi frigo dei nostri supermercati: con quella che è a tutti gli effetti una pornografia alimentare, la sovraesposizione ad un alimento ormai di routine ne svilisce la magia, la vera essenza, l’esperienza di gusto.
Ed è proprio dal ricordo delle carni battute con amore, dell’agnello pasquale che solo trent’anni fa veniva condiviso con attenzione, le piccole carni da lattante suddiviso con le persone più care, del pollo che veniva portato a tavola durante le feste e che stregava tutti con il proprio sapore, che tre giovani professionisti del napoletano hanno scelto di lanciare YouMeat, associazione in difesa della filiera della carne.
Domenico Timbone, Fabio Rossi e Francesco Veneruso, rispettivamente presidente, vicepresidente e consigliere di YouMeat sono i mattatori di una serata speciale, offerta dalla Braceria Barone di Casalnuovo di Napoli. La loro missione è quella di promuovere un consumo della carne più giusto: lungi dal demonizzare un alimento che ha fatto parte da sempre della vita dell’uomo, Domenico, Fabio e Francesco invitano i consumatori ad un atteggiamento critico, ma non sprezzante; di uso, ma non di abuso.
Domenico e Fabio, entrambi avvocati, si conoscono da una vita: condividono i giochi e le gustose pietanze a base di carne del papà di Domenico, macellaio. A loro si aggiunge Francesco, cuoco di professione.
I tre moschettieri della carne napoletana, tuttavia, per una serata cedono il passo a D’Artagnan: è infatti Raffaele Barone, proprietario della Braceria Barone, il vero mattatore della serata.
Dopo una breve presentazione della sua attività – una macelleria di sua proprietà a pochi passi del locale, la scelta di rilevare i locali dove a sua volta il padre era macellaio, e trasformarli in un posto dove non solo è possibile mangiare la carne, ma anche comprarla direttamente dal produttore – Raffaele lascia parlare i suoi piatti.
Per ingolosirci Raffaele ci offre polpettine con panatura di chips e torta rustica salsiccia e friarielli: un assaggio robusto di quello che saremmo andati a consumare e che ha subito chiarito a me e a tutti i presenti che la dieta questa sera sarebbe stata archiviata. Seguono due serie di antipasti: un misto di salumi e formaggi stagionati, cui sono seguite bruschette e fagioli alla messicana. Un assaggio di paccheri alla genovese e una Reale di Scottona Polacca concludono degnamente la cena.
In occasione di quella che gli esperti mi hanno assicurato essere la prima Social Dinner Campana, è stata presentata anche la nuova borsa Federcarni, per la quale accolta Francesco D’Agostino, responsabile marketing di Federcarni Nazionale, ha studiato un’accurata strategia di storytelling visivo, valorizzando la figura dell’artigiano macellaio e la sua bottega italiana per raccontare il prodotto e le persone che ci sono dietro.

Tra i progetti futuri di Federcarni e YouMeat, annoveriamo un’Accademia delle Carni, per incentivare un consumo maggiormente consapevole e promuovere le eccellenze del nostro territorio (al via un progetto sul pollo campese giallo) e lo sviluppo di strategie di marketing innovative per raccontare quello che è stata la carne nella nostra storia e come acquistare al meglio: estremamente interessante da questo punto di vista è l’app Meat Up, progettata da un giovanissimo cultore della materia, che consentirà la tracciabilità di ogni pezzo di carne che andremo ad acquistare a partire dal codice identificativo, e ci permetterà di scoprire cosa andremo a mangiare in ogni momento.
La serata si è conclusa con la promessa di rivedersi al più presto ma anche con la consapevolezza che davvero in ogni tradizione del nostro paese esistono storia, cultura e competenze specifiche che spesso ignoriamo. Storie che vanno raccontate anche, anzi, soprattutto, quando si tratta di cose apparentemente banali come, ad esempio, il mangiare. E poi, suvvia! i peccati di gola non sono poi così male.