Mi lancio subito in una premessa doverosa: la grafologia non è per me.
Occhielli più o meno dilatati, la variabilità della pressione sulla carta, la prossemica delle lettere: in generale potrei dire – con una buona dose di faccia tosta – che si prende tutto un foglio per scrivere abbia una personalità più estroversa di altri, ma per quanto concerne me – ed espressamente me, che sono una psicologa ante litteram – questo tipo di osservazioni hanno pressappoco la stessa valenza dell’oroscopo.
Chiarito ciò – e salutando caramente chi della grafologia ha fatto una professione – io ho come parametro di valutazione esclusivamente il Nanni Moretti – pensiero:
Chi parla male, pensa male. E lo stesso avviene se si scrive male.
Ora, non è che si debba essere tutti Manzoni, ma se ricevo una e-mail palesemente aggressiva, con punteggiature casuali e – cosa che mi fa arrabbiare più di ogni altra – con toni esageratamente confidenziali (soprattutto se parliamo di e-mail di lavoro) – partirò inevitabilmente prevenuta contro l’anonimo scrittore. Pensateci: una buonissima percentuale dei nostri “primi contatti” con altre persone avviene per e-mail, o comunque per iscritto. Vediamo quindi cosa possiamo fare per aumentare la probabilità di un secondo incontro – soprattutto se, come spesso avviene ai giorni d’oggi, il primo contatto era dovuto a ragioni frivole e veniali come, che so, la ricerca di un lavoro o l’avvio di qualche collaborazione.
Linguaggio burocratico? No, grazie
Tra i punti fermi che hanno contrassegnato la mia infanzia, uno dei miei preferiti è la serie a puntate de I promessi sposi di Solenghi, Marchesini e Lopez. Se non sapete di cosa sto parlando, andate via da qui che siete troppo giovani e con voi non ci voglio parlare. O meglio ancora, recuperate quel capolavoro, e poi avremo qualcosa da dirci. Per farla breve: ad un certo punto Lorenzo, o come dicevan tutti Renzo, si reca da Pennellone, il padre di Lucia (magistralmente interpretato da Pippo Baudo), per domandargli la mano della sua amata. Il giovane Renzo, visibilmente emozionato, apre la propria calorosa dichiarazione con una frase che nelle sue intenzioni sarebbe stata di grandissimo effetto “Ho l’ardire di venirvi a dire”. Nella realtà l’effetto c’è, ma non è quello sperato: a Renzo, uomo del popolo, tutta quell’allitterazione fa arricciare la lingua e solo dopo diversi tentativi riesce ad esprimere il suo concetto. Il linguaggio burocratico funziona così: servirebbe a darci un tono, ma nei fatti spesso è solo esilarante.
“Con la presente si allegano n°10 fatture…”. Ma chi sei? Che vuoi da me?
“Segnatamente alla comunicazione inviataLe, intendo rivolgerLe i miei più cordiali saluti”. Ma chi usa il termine “segnatamente” ? (io, ma ho una serie di problemi che non mi fanno abbandonare alcuni vezzi linguistici).
Gli esempi sono infiniti, ma l’effetto finale è sempre lo stesso: ribadiamo una profonda distanza tra noi e il nostro interlocutore, lasciando intendere che quella stessa comunicazione sarà mandata, in copie pressoché identiche, a milioni di altre persone. Ora, nessuno di noi crede davvero di essere unico e speciale in tempi come quelli attuali, dove”l’invia a tutta la rubrica” è prassi comune, ma considerando che stai scrivendo proprio a me, possiamo anche tentare un contatto più genuino. Inoltre, diciamoci la verità: chi, nel mondo reale, parla davvero così?
Ok, magari siamo persone insicure e avere uno schema standardizzato ci può aiutare: siamo davvero sicuri che sul lavoro vogliamo essere percepiti come persone che non riescono proprio ad uscire da convenzioni così desuete?
Nel dubbio, scrivi come mangi.
Suvvia, non faremo certo una figura peggiore se scriveremo “buongiorno, vi allego queste 10 fatture”, né impegneremo molto più tempo.
Botta e risposta: perché non funziona
I social network ci permettono con pochi click di annullare le distanze e di parlare con chiunque in ogni parte del mondo: la partecipazione a discussioni con chiunque e su qualsiasi argomento ha reso inattuali (e verrebbe da dire “purtroppo” ) alcune prassi che useremmo nel mondo reale, come l’attenzione al contesto o l’analisi dei nostri interlocutori .
I flame che esplodono quotidianamente su Facebook sono la dimostrazione che, anche sui social media, commentare una notizia dicendo la prima cosa che ci viene in mente è una pessima idea nel 99% dei casi: e allora perché lo facciamo anche quando scriviamo un’e –mail?
“Dammi questa informazione”, “Perché non mi avete chiamato?”, “A che ora aprite?”: a tutti questi autori ignoti chiederei sempre di rimandarmi la loro richiesta in carta intestata e bollata con la ceralacca così, per la legge del contrappasso.
Partiamo dalle basi: è vero, su Facebook è tendenza diffusa ed accettata utilizzare il “tu”, ma prima di passare a forme così personali anche sulle e-mail, aspetterei che si sia almeno consolidata un minimo di coscienza. Luisa Carrada de Il Mestiere di Scrivere da questo punto di vista è meno rigida di me, ma la mia esperienza personale mi suggerisce che, almeno in alcuni contesti lavorativi, è meglio mantenere almeno per un po’ un maggiore distacco (un esempio per tutti: la scuola).
Nel Terzo Settore, nel quale lavoro da oltre 10 anni, presentarsi con i propri titoli professionali sembra quasi una bestemmia: i vari dottori e dottoresse sono scherniti in allegria, perché tutti ci vogliamo bene e basta il cuore che metti nel fare le cose. Eppure, come dicono i saggi dalle mie parti A tropp’cunferenz’ ‘e mamm’rà mala crianza (letteralmente, troppa confidenza genera maleducazione). Quindi, evitiamo.
Meglio essere un po’ formali, che troppo confidenziali dal primo momento.
Le e-mail non sono Facebook. La vita reale non è Facebook.
Presentati: Di’ chi sei, cosa vuoi.
Spiega a chi stai scrivendo come mai hai il suo contatto, imposta un po’ di cornice e, alla fine, saluta. Forse penseranno che tu sia un po’ zelante, ma zelante è assai meglio di scostumato.
L’asincronia della parola scritta: c’è una vita oltre lo schermo
In tempi lontani, erano i piccioni viaggiatori scandivano il tempo delle nostre comunicazioni. Liete e tragiche novelle erano affidate alle ali di pennuti spesso meno veloci degli eventi che erano chiamati a rappresentare (c’è la peste? Maddai! ). Poi sono arrivati servizi postali, telefoni e infine internet. È vero, noi siamo abituati ad una comunicazione sempre più rapida e sincronica, ma a tutto c’è un limite: nel caso specifico delle e-mail, il limite è riposto nel fatto che non siamo sempre davanti al pc. Né – per fortuna, aggiungerei – abbiamo sempre in mano il nostro smartphone. Nel caso specifico delle e-mail professionali, può inoltre capitare che, durante il fine settimana, il nostro interlocutore non scarichi proprio la posta perché – indovinate? – non sta lavorando.
Molto spesso chi scrive lo fa per sedare un’ansia immediata: butta sul foglio i propri quesiti, ed invia. La telefonata spesso è vissuta come un atto più invadente: non si chiama prima di una certa ora, non si chiama all’ora di pranzo, non si chiama dopo le 20. Le e-mail sono sempre lì, a disposizione: spesso non c’è neppure un segnale sonoro del fatto che siano arrivate, quindi possiamo essere abbastanza certi di non disturbare. Il punto è che la e-mail, per quanto moderna ci possa sembrare, è uno strumento di comunicazione asincrona non meno di quanto lo siano piccioni e lettere tradizionali: non è sottesa, infatti, la compresenza del mittente e destinatario del messaggio, così come avviene ad esempio per una telefonata.
Per farla breve:
Tu puoi scrivere quando vuoi, ma il tuo interlocutore ti risponderà quando potrà, se non quando vorrà.
Insistere per un riscontro, soprattutto a ridosso di feste, ponti ed occasioni nelle quali è facile che non si consultino quotidianamente le e-mail, non è soltanto fastidioso per chi vi legge, ma anche un po’ ingrato: lasci passare infatti il pregiudizio che io non ti voglia rispondere, quando magari non ne ho avuto neppure il tempo. Aspetta un paio di giorni prima del recalling: chi non ti ha ancora risposto magari è stato preso da altro, e se è un buon professionista ti ringrazierà per la tua attenzione.
Un paio di consigli sparsi, a tal proposito:
– In caso di bandi, scadenze urgenti etc…non usare le e-mail a meno che non vi sia stato espressamente richiesto. A volte negli uffici c’è una sola persona deputata a controllare un indirizzo di posta elettronica: cosa succede se, a 12 ore dalla scadenza del progetto, all’impiegato viene un febbrone da cavallo? Meglio non rischiare.
– Per chi riceve le e-mail: sarebbe carino impostare un servizio di risposta automatica che informi il vostro interlocutore che, ad esempio, non risponderai dal 24 dicembre al 2 gennaio, o che gli uffici riapriranno direttamente lunedì. Non è scontato, e non lo è soprattutto ai tempi di Amazon, abituati come siamo ad avere risposta immediata. Se invece l’e-mail richiede un’analisi approfondita che non hai il tempo di fare subito, o non ti pertiene, dillo subito. Girala a chi di dovere, comunicando al tuo interlocutore l’avvenuto passaggio di consegne, o scrivi, molto sinceramente “devo prendermi un paio di giorni” (ma non dimenticartene!). Usa, insomma, la stessa cortesia che useresti dal vivo.